Mafia, tunnel senza confini
Intervista a Raffaele Cantone / Messaggero Sant'Antonio - marzo 2013
Ogni 34 ore un incendio, una lettera minatoria, una
scritta sul muro, un proiettile inviato a casa via posta, e-mail e
messaggi da brivido sui social network. Per un totale di 270 atti
intimidatori mafiosi in un anno, quasi uno al giorno. E' con questa
frequenza con le cosche si fanno vive contro amministratori locali
italiani secondo il II Rapporto Nazionale di Avviso Pubblico
“Amministratori sotto tiro: intimidazioni mafiose e buona
politica”. E con la stessa costanza e presenza, con la stesso
odioso presenzialismo, la mafia conclude affari in ogni parte del
mondo e in ogni regione d'Italia giorno dopo giorno, ora dopo ora.
Per cercare di capire come funziona il sistema mafioso in Italia, per
sfatarne stereotipi e simboli, ma anche per capire a cosa occorre
stare attenti per non diventare in qualche modo complici di una
organizzazione più grande di noi, abbiamo intervistato Raffaele
Cantone, giudice del Massimario della Corte di Cassazione, uno dei
massimi conoscitori della cosca dei Casalesi in Campania.
Msa.
L'ultima volta che ho potuto assistere ad un incontro pubblico alla
presenza dell'ex Procuratore nazionale antimafia, Pier Luigi Vigna,
subito prima della sua scomparsa, lui disse questa frase: “Non
capisco perché gli italiani si stupiscano tanto quando si dice che
la mafia è arrivata e opera al Centro Nord. Dopo tutto la mafia è
arrivata Oltre Oceano ed è una organizzazione mondiale. Perché non
dovrebbe essere presente anche nelle regioni del Nord Italia?”. Lei
cosa ne pensa?
Purtroppo
bisogna dire che ormai in Italia non
esistono più zone franche: la mafia è arrivata dappertutto, dal
Sud, al Centro, al Nord. Non ci sono luoghi esenti dal dramma della
mafia. A questa incredibile diffusione si affianca il fatto che oggi
è diventato difficile capire e far capire cosa s'intende con il
termine “mafia”.
MSA.
Perché? Ci sono diverse scale di presenze mafiosa? Quali sono i
parametri che rendono evidente la presenza della mafia, al Sud e al
Nord Italia? C'è qualche differenza?
L'errore che
si è compiuto fino a poco tempo fa è stato quello di confondere gli
indici rivelatori delle mafie, adottando gli stessi criteri che ne
delineano la presenza al Sud anche per le regioni del Nord.
MSA.
Possiamo fare qualche esempio?
Per
esempio, quali sono i criteri che ci
permettono di dire che a Casal di Principe, a Corleone o nei comuni
della Calabria ci sono la mafia, la camorra, la 'ndrangheta? Il fatto
che ci siano affiliati ai clan, che si facciano ricorsivamente
attività estorsive, che ci siano parecchi episodi di violenza. Ma
anche il fatto che ci siano casi conclamati di uomini e donne
mafiose, persone conosciute come tali, e che si viva in un clima di
omertà. L'errore in cui si è incappati è stato di arrivare alla
conclusione per cui, non trovando nelle regioni del Nord le variabili
che ho elencato, considerate gli indici rivelatori della presenza
mafiosa, allora in Lombardia, Toscana, Veneto e in molti altri
territori non ci fosse la mafia. Se pensassimo di utilizzare questi
indici anche per il Centro-Nord, ci troveremmo nella situazione di
non trovarli quasi mai, salvo situazioni paradossali. E di
concludere, sbagliando, che la mafia al Nord non esista.
MSA. E'
dunque sbagliato immaginare i mafiosi secondo un certo stereotipo?
Sarebbe un
errore davvero clamoroso, perché le mafie sono organizzazioni
economiche che si muovono con logiche diverse in relazione ai luoghi
nei quali si trovano e arrivano, pur dovendo sempre vivere in una
situazione di consenso diffuso. Reinvestire denaro proveniente da
attività illecita, per esempio, non è un'attività che rientra
negli indici rivelatori che dicevo, ma è evidente che sia un sintomo
dell'attività mafiosa. Voglio dire che i meccanismi tramite i quali
va valutata la presenza della mafia al Centro Nord devono essere
completamente diversi rispetto a quelli tradizionalmente noti, perché
è evidente che le mafie nelle regioni del Nord hanno soprattutto
interesse a investire. E quindi a mostrare meno i suoi modi truci e a
far vedere più la sua 'faccia pulita'
MSA.
Quali sono le zone del Nord Italia dove la mafia è maggiormente
presente?
Non penso si
possa fare una classifica. Forse dirò una cosa scomoda, ma
sicuramente le zone dove c'è un'ampia presenza anche di cittadini
meridionali sono quelle nelle quali l'arrivo della mafia si è
verificato in modo più significativo, almeno all'inizio. Mi
guarderei bene da fare io il razzista nei confronti dei miei
conterranei, ci mancherebbe altro (Raffaele
Cantone è napoletano, ndr), non è certo
questo il punto. Spesso però le mafie sono arrivate e sono riuscite
ad insinuarsi nel tessuto economico anche grazie alle presenze dei
cittadini delle regioni del Sud, che hanno rappresentato l'humus
oggettivo, non soggettivo, con il quale entrare in contatto. E'
importante allo stesso modo la presenza di imprese e di attività
nelle quali l'imprenditoria mafiosa possa fare affari.
MSA.
Quali sono i settori ai quali stare più attenti?
Il core
business per eccellenza della mafia è l'edilizia e proprio la
possibilità di entrare in questo settore consente di far arrivar le
organizzazioni mafiose nei luoghi più diversi. Quindi la Lombardia,
il Veneto, la Toscana, l'Emilia, l'Umbria,
ovunque. La questione centrale è la logica di reinvestimento in
relazione agli interessi mafiosi. Specialmente perché ormai la
mafia offre servizi capaci di rendere le aziende 'più competitive',
a partire dallo smaltimento dei rifiuti. Le estorsioni tradizionali
non esistono più: adesso la mafia impone prodotti, manodopera e
servizi al punto che si
può parlare quasi di “mafia
service”.
MSA. C'è
qualche altro settore economico che attira l'interesse della mafia in
questo momento?
Sì, c'è un
altro settore del quale è interessante parlare: si tratta del
comparto dell'energia rinnovabile, che per antonomasia e anche per
definizione dovrebbe essere 'pulito', al riparo da interessi
illeciti. Invece prendiamo atto che è uno dei settori nei quali le
mafie hanno fatto di recente grandissimi affari: l'eolico, il
fotovoltaico, entrambi in espansione, sono ambienti nei quali le
mafie si sono inserite ampiamente. Il vero problema è dove le mafie
trovano una delle ragioni che consentono loro di essere presenti: la
possibilità di guadagnare e di fare affari. Hanno grandi
disponibilità e liquidità e hanno anche discrete potenzialità dal
punto di vista del background imprenditoriale.
MSA. Nel
suo ultimo libro denuncia il fatto che anche il calcio sia da anni
terreno fertile per la mafia. La mafia ha dunque la capacità di
occuparsi di attività materiali e immateriali, dall'edilizia al
tempo libero della domenica pomeriggio?
Le mafie da
questo punto di vista hanno fatto un salto di qualità da tempo:
hanno cambiato il modo di controllare il territorio e hanno declinato
in varie forme la possibilità di fare consenso e di gestirlo. Il
calcio è uno strumento utile sotto questo profilo, perché è uno
sport popolarissimo e diffuso ovunque in Italia, ad ogni livello. E'
un sistema che ha le condizioni per aumentare il consenso delle
mafie, specialmente in alcune zone del paese, dove è seguito da
fette davvero ampie della società. Per la mafia allo stadio è
facile incontrare tanto i rappresentanti politici quanto i grandi
imprenditori. Sempre allo stadio c'è la possibilità di riuscire a
guidare le tifoserie e a gestire le società sportive.
MSA.
Com'è cominciato tutto questo?
Le mafie
hanno un rapporto con il loro territorio che spesso viene molto
semplicisticamente descritto in termini di 'sopraffazione', ma non è
così, o non è soltanto così. Le mafie hanno bisogno fisico del
consenso diffuso, per un problema numerico concreto: non si può
controllare un territorio vasto come quello gestito dalla mafia
esclusivamente con la violenza, per quanto spietata. Per cui la
lunga vita delle mafie si spiega con la logica del consenso, non con
la logica della sopraffazione. Il calcio è uno strumento
fondamentale per riuscire a creare e mantenere un consenso diffuso e
solido. Essere dentro lo scenario calcistico del proprio territorio
ti consente di arrivare a tutta una serie di mondi che fuori dallo
stadio possono essere lontani: quello delle istituzioni, quello della
politica. In questo senso, anche il calcio può diventare uno
strumento fondamentale di promozione della mafiosità.
Raffaele
Cantone è nato a Napoli nel 1963. Entrato in magistratura nel
1991, lavora come pubblico ministero presso la Direzione Distrettuale
Antimafia di Napoli fino al 2007, occupandosi delle indagini sul
clan camorristico dei Casalesi, delle loro infiltrazioni all'estero,
e riuscendo ad ottenere l'ergastolo per i vertici più inarrivabili.
Oggi lavora all’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di
Cassazione.
Dopo “Solo per giustizia” (2008),
un romanzo autobiografico che, a partire dal suo ultimo giorno alla
Direzione Distrettuale Antimafia, ripercorre la sua esperienza da
giudice, ha scritto con il giornalista Gianluca Di Feo “I
Gattopardi” (2010) nel quale racconta le reti e le connessioni del
sistema mafioso italiano degli ultimi vent'anni. Nel 2012, sempre
insieme a Di Feo, è uscito il libro “Football clan”: analisi
senza veli del mondo del calcio, diventato uno dei modi più pesanti
grazie ai quali la mafia riesce a tessere la sua tela e a fare
affari.