martedì 9 gennaio 2007

Rapporto Caritas in Toscana, Il Firenze, 5 gennaio 2007

Sostegno concreto agli immigrati, pasti caldi per migliaia di senza tetto, case per malati di aids e aiuto ai minori con disagio: tanti gli ambiti d'intervento della Caritas a Firenze e in tutta la Toscana. "Il problema più attuale che ci troviamo ad affrontare è quello dell'impoverimento delle famiglie, dovuto alla perdita di potere d'acquisto - spiega il referente per Caritas regionale, don Emanuele Morelli –. Tante famiglie straniere, ma anche tanti italiani, cittadini come gli altri, che si trovano spiazzati spesso a causa dell'impoverimento da rateizzazione". Secondo l'ultimo rapporto sulle povertà in Toscana sono almeno 15mila le persone che si rivolgono ai centri d'ascolto diocesani Caritas, almeno una volta nel corso dell'anno. I volontari della Caritas in tutta la Toscana sono di sicuro più di 10mila ma "è molto difficile quantificarli, perché in Caritas non esiste tesseramento – dice ancora don Emanuele -. Quello che cerchiamo di fare è di tradurre lo stile di vita evangelico nella vita quotidiana".
Al solo centro d'ascolto di Firenze si rivolgono ogni anno quasi 4000 persone, come dice don Gianluca Bitossi, responsabile Caritas per la diocesi del capoluogo. Alle diverse richieste d'aiuto la Caritas risponde con quelle che vengono chiamate "opere-segno": cioè luoghi dove si svolgono servizi diversi, dall'accoglienza dei rifugiati alla mensa dei poveri, cercando di coinvolgere anche il resto della collettività. Sono opere-segno a Firenze, per esempio, le tre case per malati di aids. "A Casa Vittoria, in centro a Firenze, vivono 12 persone malate di aids di età media compresa fra i 30 e i 40 anni – dice don Gianluca -. La qualità della loro vita, in strutture come queste, migliora molto. Per ammalati di aids sono disponibili anche Casa Elios, a Careggi, e Casa Vladimiro, fuori Firenze".

Tante sono le richieste d'aiuto che arrivano dagli immigrati. A loro sono rivolti i centri Caritas specializzati in immigrazione, dove mediatori culturali e avvocati seguono le pratiche per permessi di soggiorno e per la vita quotidiana di uomini e donne che arrivano da lontano.

Per seguire questioni difficili come l'impoverimento, l'immigrazione, l'usura, minori con problemi e carcerati che finiscono di scontare la pena, la Caritas ha bisogno non solo dei suoi 10.000 volontari, ma anche di centinaia di dipendenti veri e propri. Solo a Firenze i dipendenti Caritas sono cento. "Ci appoggiamo a persone formate ed esperte dei vari settori, che vengono assunte regolarmente – dice don Gianluca -. Non tutto si può fare a livello di volontariato".
Agnese Fedeli



Numeri

- La Caritas è presente in ogni diocesi. In Toscana le diocesi sono 17.

- Centri d'ascolto presenti in regione: 50

- Persone che si rivolgono ai centri d'ascolto almeno una volta all'anno in tutta la regione: 15.000.

- Solo a Firenze: 4.000.

- I volontari della Caritas in Toscana: più di 10.000. A Firenze un migliaio.

- Pasti caldi serviti nelle mense dei poveri a Firenze ogni giorno: più di 500. La sera i volontari portano il cibo ai senzatetto che dormono in stazione a Santa Maria Novella e a Campo di Marte.

- Le risorse della Caritas arrivano in gran parte dalle donazioni dell'8 per mille e dalle convenzioni con enti come Comuni, Province, Asl. Si stanno facendo meno frequenti, invece, le offerte o i lasciti.

E' Siena la città dove si vive meglio, Il Firenze, 19 dicembre 2006

Firenze si classifica all'ottavo posto per qualità della vita. Un bel risultato, considerando che nelle prime dieci città e province d'Italia dove si vive meglio figurano altre due città toscane: Siena, sul podio al primo posto, e Grosseto, arrivata decima. Firenze registra un ottimo miglioramento nei valori della qualità della vita, dal momento che nel 2005 si era classificata solo 23esima. Siena nel 2005 era arrivata 11esima e Grosseto 18esima. Insomma, secondo le rilevazioni del Sole 24 Ore, pubblicate sul quotidiano di ieri, in Toscana si vive sempre meglio. E Firenze, secondo lo studio, è ancora la città ideale insieme a Parigi.
I valori analizzati nella grande ricerca del Sole 24 Ore, che riguarda le 103 province italiane, sono sei: tenore di vita, affari e lavoro, servizi-ambiente e salute, ordine pubblico, popolazione, tempo libero. I risultati conteggiati in media portano Firenze all'ottavo posto. Considerando, invece, i valori singolarmente, altre province toscane entrano nella classifica della qualità della vita. Per esempio, Prato è nona per quanto riguarda "tenore di vita", ossia per ricchezza prodotta, percentuale di risparmio, pensioni, assicurazioni, consui e immobili. Relativamente alla categoria "affari e lavoro" Siena si classifica 11esima e Firenze 18esima, ma considerando i singoli valori che fanno capo alla categoria troviamo altre città e province toscane: per esempio, Grosseto è prima, e Prato sesta, per "lo spirito d'iniziativa", Siena è quarta per occupazione, Prato è terza per immigrati assunti regolarmente, Firenze è prima per i prestiti alle imprese.
Anche l'ambiente è elemento che determina una buona qualità della vita. Tra le prime dieci della macroarea, esattamente al decimo posto, arriva Lucca. Considerando i singoli valori troviamo Pisa al sesto posto per il rispetto dell'ecosistema, Firenze, Prato, Arezzo e Siena - rispettivamente prima, seconda, settima e ottava, per l'aspettativa di longevità. Elemento basilare per la definizione di una città sicura, dove si vive bene, è l'ordine pubblico e la percentuale di reati che vi vengono commessi. Nella macroarea le città toscane non si classificano entro le prima dieci, a differenza dei singoli valori: Siena, per esempio, arriva settima per il più basso numero di rapide denunciate e ottava per il minor numero di furti d'auto.
Arriviamo quindi all'analisi della "popolazione": in questa grande categoria troviamo Siena al primo posto e Grosseto al terzo. Nello specifico dei valori compresi nella macroarea. Grosseto arriva terza anche per la densità di abitanti ogni chilometro quadrato, Prato è terza per neonati, Livorno è prima per trasferimenti, Prato è prima per la regolarizzazione degli stranieri – è regolare il 12% degli extracomunitari – mentre Firenze arriva all''ottavo posto. Pisa, infine, è terza per investimento in formzione.
Ultima categoria, quella del tempo libero: Firenze addirittura è la prima classificata, Livorno e Lucca sono ottava e nona, Siena undicesima. Nei singoli valori della categoria, Livorno è nona per "il piacere di fare gruppo", Firenze terza per lo shopping in libreria, Livorno quinta per la passione per il cinema, Siena e Firenze rispettivamente seconda e quinta per l'enogastronomia, Firenze, Siena, Lucca e Pisa, rispettivamente seconda, quarta, quinta e nona, per il volontariato attivo.
Agnese Fedeli

Un fa' a miccino co i'cibreino, Il Firenze, 9 dicembre

"Cenciaioooo... donne c'è i' cenciaio! Compro stracci e ferri vecchi... ve li pago a peso d'orooooo... Gnamo, donne, c'è i' cenciaiooooo!". E' una frase presa da un racconto di tradizione fiorentina. Parole che solo un fiorentino doc sa leggere con il tono giusto, con gli accenti ognuno dove deve stare e con ogni termine caricato di tutto il peso di questa parlata. Già, ma come parlano i fiorentini? E quali sono le parole più tradizionali di questa calata? E' un dato di fatto che, nonostante il toscano non sia propriamente un dialetto - i fiorentini hanno ancora un discreto numero di espressioni tradizionali e popolari. Buona parte è raccolta nell'archivio online dell'Accademia della Crusca, suddivisi per tematiche: mangiare, bere, difetti e pregi. Dalla "b" di becero e "bischero" alla "m" di miccino fino alla "z" di zunnenne - parola onomatopeica per indicare una musica ritmata e ripetitiva - ecco qui una breve rassegna delle parole della nostra tradizione.

Si definisce "becero" una persona rozza, volgare nei modi e soprattutto nel parlare: al punto che proprio da "becero" deriva il verbo "bociare". "Bischero" è forse la parola fiorentina più famosa fuori Toscana: magari non tutti i fiorentini è l'espressione " farsi mangiare il bischero (o il naso) dalle mosche" che significa essere ingenuo, farsi abbindolare facilmente. Segue "becero" e "bischero" la definizione di "bocco" una di "chelle che gli danno ad intender ugni cosa, tu gli da' a d'intendere icché tu voi!".

Tante le parole della nostra tradizione che riguardano il cibo, la tavola e il momento del mangiare. Tra queste anche "cibreino", famoso anche per il celebre ristorante, un piatto a base di interiora del pollo, cresta e bargigli, mescolate insieme a uova sbattute. " I' cibreino l'è… si metteva: la cresta e ' bargigli di' pollo, poi c'era i' fegatino, e' fagioli, i fagioli che s'è detto belli grossi, e po' che si mettea? Po' si faceva magari la frittata, si buttava du' ova. I' cibreino l'è codesto. La frittata di interiori, 'nsomma. S'andava 'n centro apposta a mangiàllo! Perchè l'era un piatto di lusso, eh!" recita un testo di linguistica fiorentina. Cibreo signfica quindi "piatto toscano". Altre specialità fiorentine sono anche il "roventino",

frittella di sangue di maiale speziata e condita con parmigiano grattugiato, la "sbriciolóna", un tipo di finocchióna più fresca, da tagliare a mano, e il "semelle", panino all'olio, rotondo e incavato nel mezzo.

Non tutti forse sanno cosa vuol dire "levarsi il corpo di grinze": figurativamente vuol dire saziarsi, in particolare dopo un lungo digiuno. Si può allargare al significato di "riuscire in qualcosa dopo vari fallimenti". Che verbo usare quando si comincia ad affettare un prosciutto? Il noto "incignare", oppure "marimettere", che letteralmente significa "mettere a mano". Classicamente il fiorentino tiene anche a non sprecare il cibo. Per dirla meglio: "fa a miccino", cioè fare economia, usare tutto poco. Si usa ancora, specie nel parlare ai bambini, la parola "mommo", per indicare il biberon, mentre non si sente più dire la parola "pizzicagnolo", che indicava il gestore di botteghe di salumi e formaggi.

Ci sono poi espressioni articolate come "domando e dico" che è un tipico intercalare in particolar modo maschile, "una esclamazione per chiedere anche consenso di chi ascolta su un fatto un po' clamoroso da commentare", il classico "Ma io mi domando e dico!?"; oppure "fare il diavolo e peggio" che indica l'atteggiamento di chi fa confusione e inventa sempre cose nuove e stravaganti. Sono detti popolari anche "dare un tanto" e "portare per bocca", che rispettivamente vogliono dire "una certa quantità di denaro: non lo farei neppure mi dessero un tanto" e "parlare di una persona per indicarne le malefatte: non fare così, altrimenti ti fai portare per bocca, ossia fai parlar male di te". L'espressione "dare un tanto" è spesso coniugata con il verbo tronco "sapere": "io darei un tanto a sapè!" che vuol dire che si sarebbe disposti a pagare qualsiasi cifra pur di sapere un determinta cosa. Tante parole dialettali indicano persone o cose di poco conto: "premicione", persona inetta e buona a poco, "patonfio", persona grassa, lenta di movimento e pensiero, "manfano", persona rozza, "lotro" e "lercio", "brindellone" e "lernia", una persona di cattiva compagnia, perché "mangia sempre con smorfia di fastidio".

Agnese Fedeli

per chiave?

Coccio, ciana e doddolóne

sono solo alcune delle parole del fiorentino doc che si possono leggere sul sito web dell'accademia della Crusca. Se non sapere cosa significa "doddo", "garbo" o "gnocco" click su www.accademiadellacrusca.it.

Il Vocabolario del fiorentino contemporaneo è un progetto che cerca di documentare tutta una serie di termini ed espressioni tipiche del lessico fiorentino, per distinguerle dal lessico italiano.

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I fiorentini sono i padri della "gorgia", che non è una strana malattia congenita, piuttosto un vezzo linguistico che fa impazzire romani e milanesi: la famosa "c" aspirata che fa tanto ridere nella frase "una coca-cola calda calda con la cannuccia corta corta". Altro aspetto tipico della parlata è l'abitudine di tagliar via l'infinito dei verbi - devo andà, voglio mangià, ho da studià, fammi sentì -. E di pronunciare l'articolo determinativo "il" al 50%, a prescindere dall'ambito semantico al quale si attribuisce: dagli oggetti quotidiani, i'bbicchiere, i'bbiro, i'ppiatto, i'ccavatappi, a quelli anche più svariati, i'vvolante, i'ppistone, i'ttram, i'bbottone, e così via. Nell'ipotetico dizionario di dialetto fiorentino c'è anche un pronome pseudo dimostrativo che sta a indicare il complemento oggetto "voi": l'incomprensibile e francesizzante "vu". "Non vu mm'ascoltate", "vu glielo potete chiedere", "Icché vu avete fatto ieri sera?" e via dicendo.

INtervista a Stefano Bollani, Il Firenze, 29 novembre 2006

Pianista, artista, creatura da palcoscenico: Stefano Bollani è questo e molto altro. Milanese d'origine, fiorentino d'adozione, Stefano Bollani nasce a Milano il 5 dicembre 1972 e si trasferisce a Firenze intorno ai 10 anni. Ha vissuto nel capoluogo toscano, quindi, tutti gli anni della sua formazione, il periodo difficile del liceo e del conservatorio. Finda ragazzo comincia a suonare nei locali. In questo periodo, Stefano Bollani, uno dei pianisti più apprezzati in tutto il mondo, sta registrando alla sede Rai di Firenze le puntate di un programma radiofonico che si chiama "Dr.Djambé". Il programma andrà in onda dal 25 dicembre per due settimane su Radio3.

Dopo il libro "La sindrome di Brontolo" arriva un programma radio. Su cosa punta Dr. Djambé?

E' un programma che vuole un po' prendere in giro il tono intellettuale di Radio3, ma che vuole mettere anche in comunicazione il mondo della musica e quello della parola. Insieme al mio pianoforte ci sarà infatti David Riondino, con il suo modo di intrecciare le parole e le storie.

Quali sono i tuoi programmi radio preferiti?

Mi piacciono molto tutti i programmi di Radio2, in particolare le coppie di Fiorello e Baldini e Greg e Lillo.

Come convivi con le nuove tecnologie? Secondo te sono utili alla professionalità di un artista?

Sono affascinato dalla tecnologia: è affascinante usare strumenti sempre nuovi e diversi. Ma bisogna stare attenti a non farsi usare dalle tecnologie. Penso alla facilità con cui i ragazzi di oggi comprano e si scambiano musica: per me prima un cd o un disco significava anche una certa ritualità che comprendeva andare in centro, mettere da parte i soldi e tante altre cose. Oggi con Emule è molto più facile e veloce, ma magari dei 500 brani presi i ragazzi ne ascoltano solo una decina.

Parliamo della tua formazione: come ricordi il periodo della scuola superiore?

Sono sempre stato il tipico studente che ha vissuto di rendita, quello che avrebbe potuto fare meglio e di più. Lo studente dell'ultimo banco, fisicamente e come indole. Passavo tutto il giorno a suonare il piano e la sera, già a 15 anni, andavo a suonare nei locali e tornavo a casa alle 2 di notte. Per la scuola studiavo pochissimo, ma riuscivo comunque a cavarmela nei compiti e nelle interrogazioni. Al contrario dei miei compagni di banco, che sono sempre bocciati.

Al liceo avevi già la ragazza? Le hai mai dedicato un pezzo o una canzone?

Premesso che in quegli anni io avevo un sacco di "amiche" che si confidavano con me per dirmi che amavano i miei compagni, e che quindi la ragazza potevo anche scordamela, beh sì, una volta, al terzo anno di liceo, ho composto e registrato un pezzo davvero strappalacrime per una ragazza. La sua reazione? Si è detta "molto lusingata". E non l'ho più rivista.

A quanti anni, invece, risale la tua primissima composizione?

Già in seconda elementare scrivevo dei pezzi su un quaderno. Purtroppo li ho persi. Anche se sarebbero del tutto inutili: scrivevo soltanto i nomi delle note e nessuna informazione sul valore e il ritmo.

Un segno del tuo carattere degli anni della tua adolescenza che ti sei portato dietro anche diventando adulto?

Sicuramente il buonumore. Sono quasi sempre allegro. Ma il mio buonumore non è indice di leggerezza.

Cosa consiglieresti a un ragazzo che vuole diventare musicista o artista?

L'importante, secondo me, è non pensare subito al guadagno, al lavoro, alla promozione dei dischi, agli uffici stampa e alle conoscenze. Sono cose che arrivano dopo. Quelli dell'adolescenza sono gli anni nei quali, davvero, si possono passare pomeriggi interi a suonare o a esercitarsi. Cosa che io, oggi, non posso fare più. Suono tutti i giorni facendo concerti, ma il resto del tempo o viaggio o sto a parlare di musica. Non ho più il tempo di suonare come prima. Questo è l'importante: coltivare la passione negli anni cruciali della propria formazione.

Hai una fissazione?

La mia fissa sono i cataloghi: adoro mettere in ordine alfabetico, di pubblicazione, di altezza e colore libri e cd. Anche se ho sposato una donna piuttosto disordinata (Petra Magoni, ndr).

Quale suoneria usi per il cellulare?

Tengo sempre la vibrazione: non voglio disturbare le altre persone.

Il tuo piatto preferito?

Gnocchi al pomodoro.

La tua musica preferita di sempre?

Rapsodia in blu di Gerswhin. Mentre il primo cd che ho comprato di cui ho memoria è Nigeria Market Place, nel 1982.


"A sei anni vuole diventare cantante e così, per accompagnare la sua voce, Stefano Bollani inizia a suonare la tastiera che trova in casa. Pochi anni dopo incide una cassetta in cui canta e suona, la invia al suo mito, Renato Carosone, e la accompagna con una lettera in cui spiega il suo sogno. Carosone gli risponde consigliandogli di ascoltare tanto blues e jazz e così Bollani fa". Inizia così la storia di Stefano Bollani, che inizialmente suona al piano musica pop. Approda al jazz dopo un mitico incontro con Enrico Rava che, dopo averlo sentito, lo invita a suonare con lui. Alcuni dei suoi dischi più famosi sono Les fleures bleues (2002), Smat smat, (2003), Concertone, (2004) e I Visionari (2006). Ha ideato diversi spettacoli dove musica e divertimento si miscelano – tra questi anche Guarda che luna e Primo Piano insieme alla Banda Osiris– e scritto due libri: "L'America di Renato Carosone" (Elleu, 2004), omaggio alla storia dello swing e del jazz nel nostro paese, "La sindrome di Brontolo" (Baldini & Castoldi, 2006). Tante altre curiosità nel suo sito www.stefanobollani.com.