martedì 9 gennaio 2007

Un fa' a miccino co i'cibreino, Il Firenze, 9 dicembre

"Cenciaioooo... donne c'è i' cenciaio! Compro stracci e ferri vecchi... ve li pago a peso d'orooooo... Gnamo, donne, c'è i' cenciaiooooo!". E' una frase presa da un racconto di tradizione fiorentina. Parole che solo un fiorentino doc sa leggere con il tono giusto, con gli accenti ognuno dove deve stare e con ogni termine caricato di tutto il peso di questa parlata. Già, ma come parlano i fiorentini? E quali sono le parole più tradizionali di questa calata? E' un dato di fatto che, nonostante il toscano non sia propriamente un dialetto - i fiorentini hanno ancora un discreto numero di espressioni tradizionali e popolari. Buona parte è raccolta nell'archivio online dell'Accademia della Crusca, suddivisi per tematiche: mangiare, bere, difetti e pregi. Dalla "b" di becero e "bischero" alla "m" di miccino fino alla "z" di zunnenne - parola onomatopeica per indicare una musica ritmata e ripetitiva - ecco qui una breve rassegna delle parole della nostra tradizione.

Si definisce "becero" una persona rozza, volgare nei modi e soprattutto nel parlare: al punto che proprio da "becero" deriva il verbo "bociare". "Bischero" è forse la parola fiorentina più famosa fuori Toscana: magari non tutti i fiorentini è l'espressione " farsi mangiare il bischero (o il naso) dalle mosche" che significa essere ingenuo, farsi abbindolare facilmente. Segue "becero" e "bischero" la definizione di "bocco" una di "chelle che gli danno ad intender ugni cosa, tu gli da' a d'intendere icché tu voi!".

Tante le parole della nostra tradizione che riguardano il cibo, la tavola e il momento del mangiare. Tra queste anche "cibreino", famoso anche per il celebre ristorante, un piatto a base di interiora del pollo, cresta e bargigli, mescolate insieme a uova sbattute. " I' cibreino l'è… si metteva: la cresta e ' bargigli di' pollo, poi c'era i' fegatino, e' fagioli, i fagioli che s'è detto belli grossi, e po' che si mettea? Po' si faceva magari la frittata, si buttava du' ova. I' cibreino l'è codesto. La frittata di interiori, 'nsomma. S'andava 'n centro apposta a mangiàllo! Perchè l'era un piatto di lusso, eh!" recita un testo di linguistica fiorentina. Cibreo signfica quindi "piatto toscano". Altre specialità fiorentine sono anche il "roventino",

frittella di sangue di maiale speziata e condita con parmigiano grattugiato, la "sbriciolóna", un tipo di finocchióna più fresca, da tagliare a mano, e il "semelle", panino all'olio, rotondo e incavato nel mezzo.

Non tutti forse sanno cosa vuol dire "levarsi il corpo di grinze": figurativamente vuol dire saziarsi, in particolare dopo un lungo digiuno. Si può allargare al significato di "riuscire in qualcosa dopo vari fallimenti". Che verbo usare quando si comincia ad affettare un prosciutto? Il noto "incignare", oppure "marimettere", che letteralmente significa "mettere a mano". Classicamente il fiorentino tiene anche a non sprecare il cibo. Per dirla meglio: "fa a miccino", cioè fare economia, usare tutto poco. Si usa ancora, specie nel parlare ai bambini, la parola "mommo", per indicare il biberon, mentre non si sente più dire la parola "pizzicagnolo", che indicava il gestore di botteghe di salumi e formaggi.

Ci sono poi espressioni articolate come "domando e dico" che è un tipico intercalare in particolar modo maschile, "una esclamazione per chiedere anche consenso di chi ascolta su un fatto un po' clamoroso da commentare", il classico "Ma io mi domando e dico!?"; oppure "fare il diavolo e peggio" che indica l'atteggiamento di chi fa confusione e inventa sempre cose nuove e stravaganti. Sono detti popolari anche "dare un tanto" e "portare per bocca", che rispettivamente vogliono dire "una certa quantità di denaro: non lo farei neppure mi dessero un tanto" e "parlare di una persona per indicarne le malefatte: non fare così, altrimenti ti fai portare per bocca, ossia fai parlar male di te". L'espressione "dare un tanto" è spesso coniugata con il verbo tronco "sapere": "io darei un tanto a sapè!" che vuol dire che si sarebbe disposti a pagare qualsiasi cifra pur di sapere un determinta cosa. Tante parole dialettali indicano persone o cose di poco conto: "premicione", persona inetta e buona a poco, "patonfio", persona grassa, lenta di movimento e pensiero, "manfano", persona rozza, "lotro" e "lercio", "brindellone" e "lernia", una persona di cattiva compagnia, perché "mangia sempre con smorfia di fastidio".

Agnese Fedeli

per chiave?

Coccio, ciana e doddolóne

sono solo alcune delle parole del fiorentino doc che si possono leggere sul sito web dell'accademia della Crusca. Se non sapere cosa significa "doddo", "garbo" o "gnocco" click su www.accademiadellacrusca.it.

Il Vocabolario del fiorentino contemporaneo è un progetto che cerca di documentare tutta una serie di termini ed espressioni tipiche del lessico fiorentino, per distinguerle dal lessico italiano.

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I fiorentini sono i padri della "gorgia", che non è una strana malattia congenita, piuttosto un vezzo linguistico che fa impazzire romani e milanesi: la famosa "c" aspirata che fa tanto ridere nella frase "una coca-cola calda calda con la cannuccia corta corta". Altro aspetto tipico della parlata è l'abitudine di tagliar via l'infinito dei verbi - devo andà, voglio mangià, ho da studià, fammi sentì -. E di pronunciare l'articolo determinativo "il" al 50%, a prescindere dall'ambito semantico al quale si attribuisce: dagli oggetti quotidiani, i'bbicchiere, i'bbiro, i'ppiatto, i'ccavatappi, a quelli anche più svariati, i'vvolante, i'ppistone, i'ttram, i'bbottone, e così via. Nell'ipotetico dizionario di dialetto fiorentino c'è anche un pronome pseudo dimostrativo che sta a indicare il complemento oggetto "voi": l'incomprensibile e francesizzante "vu". "Non vu mm'ascoltate", "vu glielo potete chiedere", "Icché vu avete fatto ieri sera?" e via dicendo.

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