lunedì 26 agosto 2013

Mafia, tunnel senza confini

Intervista a Raffaele Cantone / Messaggero Sant'Antonio - marzo 2013 

Ogni 34 ore un incendio, una lettera minatoria, una scritta sul muro, un proiettile inviato a casa via posta, e-mail e messaggi da brivido sui social network. Per un totale di 270 atti intimidatori mafiosi in un anno, quasi uno al giorno. E' con questa frequenza con le cosche si fanno vive contro amministratori locali italiani secondo il II Rapporto Nazionale di Avviso Pubblico “Amministratori sotto tiro: intimidazioni mafiose e buona politica”. E con la stessa costanza e presenza, con la stesso odioso presenzialismo, la mafia conclude affari in ogni parte del mondo e in ogni regione d'Italia giorno dopo giorno, ora dopo ora. Per cercare di capire come funziona il sistema mafioso in Italia, per sfatarne stereotipi e simboli, ma anche per capire a cosa occorre stare attenti per non diventare in qualche modo complici di una organizzazione più grande di noi, abbiamo intervistato Raffaele Cantone, giudice del Massimario della Corte di Cassazione, uno dei massimi conoscitori della cosca dei Casalesi in Campania.
Msa. L'ultima volta che ho potuto assistere ad un incontro pubblico alla presenza dell'ex Procuratore nazionale antimafia, Pier Luigi Vigna, subito prima della sua scomparsa, lui disse questa frase: “Non capisco perché gli italiani si stupiscano tanto quando si dice che la mafia è arrivata e opera al Centro Nord. Dopo tutto la mafia è arrivata Oltre Oceano ed è una organizzazione mondiale. Perché non dovrebbe essere presente anche nelle regioni del Nord Italia?”. Lei cosa ne pensa?
Purtroppo bisogna dire che ormai in Italia non esistono più zone franche: la mafia è arrivata dappertutto, dal Sud, al Centro, al Nord. Non ci sono luoghi esenti dal dramma della mafia. A questa incredibile diffusione si affianca il fatto che oggi è diventato difficile capire e far capire cosa s'intende con il termine “mafia”.
MSA. Perché? Ci sono diverse scale di presenze mafiosa? Quali sono i parametri che rendono evidente la presenza della mafia, al Sud e al Nord Italia? C'è qualche differenza?
L'errore che si è compiuto fino a poco tempo fa è stato quello di confondere gli indici rivelatori delle mafie, adottando gli stessi criteri che ne delineano la presenza al Sud anche per le regioni del Nord.
MSA. Possiamo fare qualche esempio?
Per esempio, quali sono i criteri che ci permettono di dire che a Casal di Principe, a Corleone o nei comuni della Calabria ci sono la mafia, la camorra, la 'ndrangheta? Il fatto che ci siano affiliati ai clan, che si facciano ricorsivamente attività estorsive, che ci siano parecchi episodi di violenza. Ma anche il fatto che ci siano casi conclamati di uomini e donne mafiose, persone conosciute come tali, e che si viva in un clima di omertà. L'errore in cui si è incappati è stato di arrivare alla conclusione per cui, non trovando nelle regioni del Nord le variabili che ho elencato, considerate gli indici rivelatori della presenza mafiosa, allora in Lombardia, Toscana, Veneto e in molti altri territori non ci fosse la mafia. Se pensassimo di utilizzare questi indici anche per il Centro-Nord, ci troveremmo nella situazione di non trovarli quasi mai, salvo situazioni paradossali. E di concludere, sbagliando, che la mafia al Nord non esista.
MSA. E' dunque sbagliato immaginare i mafiosi secondo un certo stereotipo?
Sarebbe un errore davvero clamoroso, perché le mafie sono organizzazioni economiche che si muovono con logiche diverse in relazione ai luoghi nei quali si trovano e arrivano, pur dovendo sempre vivere in una situazione di consenso diffuso. Reinvestire denaro proveniente da attività illecita, per esempio, non è un'attività che rientra negli indici rivelatori che dicevo, ma è evidente che sia un sintomo dell'attività mafiosa. Voglio dire che i meccanismi tramite i quali va valutata la presenza della mafia al Centro Nord devono essere completamente diversi rispetto a quelli tradizionalmente noti, perché è evidente che le mafie nelle regioni del Nord hanno soprattutto interesse a investire. E quindi a mostrare meno i suoi modi truci e a far vedere più la sua 'faccia pulita'
MSA. Quali sono le zone del Nord Italia dove la mafia è maggiormente presente?
Non penso si possa fare una classifica. Forse dirò una cosa scomoda, ma sicuramente le zone dove c'è un'ampia presenza anche di cittadini meridionali sono quelle nelle quali l'arrivo della mafia si è verificato in modo più significativo, almeno all'inizio. Mi guarderei bene da fare io il razzista nei confronti dei miei conterranei, ci mancherebbe altro (Raffaele Cantone è napoletano, ndr), non è certo questo il punto. Spesso però le mafie sono arrivate e sono riuscite ad insinuarsi nel tessuto economico anche grazie alle presenze dei cittadini delle regioni del Sud, che hanno rappresentato l'humus oggettivo, non soggettivo, con il quale entrare in contatto. E' importante allo stesso modo la presenza di imprese e di attività nelle quali l'imprenditoria mafiosa possa fare affari.
MSA. Quali sono i settori ai quali stare più attenti?
Il core business per eccellenza della mafia è l'edilizia e proprio la possibilità di entrare in questo settore consente di far arrivar le organizzazioni mafiose nei luoghi più diversi. Quindi la Lombardia, il Veneto, la Toscana, l'Emilia, l'Umbria, ovunque. La questione centrale è la logica di reinvestimento in relazione agli interessi mafiosi. Specialmente perché ormai la mafia offre servizi capaci di rendere le aziende 'più competitive', a partire dallo smaltimento dei rifiuti. Le estorsioni tradizionali non esistono più: adesso la mafia impone prodotti, manodopera e servizi al punto che si può parlare quasi di “mafia service”.
MSA. C'è qualche altro settore economico che attira l'interesse della mafia in questo momento?
Sì, c'è un altro settore del quale è interessante parlare: si tratta del comparto dell'energia rinnovabile, che per antonomasia e anche per definizione dovrebbe essere 'pulito', al riparo da interessi illeciti. Invece prendiamo atto che è uno dei settori nei quali le mafie hanno fatto di recente grandissimi affari: l'eolico, il fotovoltaico, entrambi in espansione, sono ambienti nei quali le mafie si sono inserite ampiamente. Il vero problema è dove le mafie trovano una delle ragioni che consentono loro di essere presenti: la possibilità di guadagnare e di fare affari. Hanno grandi disponibilità e liquidità e hanno anche discrete potenzialità dal punto di vista del background imprenditoriale.
MSA. Nel suo ultimo libro denuncia il fatto che anche il calcio sia da anni terreno fertile per la mafia. La mafia ha dunque la capacità di occuparsi di attività materiali e immateriali, dall'edilizia al tempo libero della domenica pomeriggio?
Le mafie da questo punto di vista hanno fatto un salto di qualità da tempo: hanno cambiato il modo di controllare il territorio e hanno declinato in varie forme la possibilità di fare consenso e di gestirlo. Il calcio è uno strumento utile sotto questo profilo, perché è uno sport popolarissimo e diffuso ovunque in Italia, ad ogni livello. E' un sistema che ha le condizioni per aumentare il consenso delle mafie, specialmente in alcune zone del paese, dove è seguito da fette davvero ampie della società. Per la mafia allo stadio è facile incontrare tanto i rappresentanti politici quanto i grandi imprenditori. Sempre allo stadio c'è la possibilità di riuscire a guidare le tifoserie e a gestire le società sportive.
MSA. Com'è cominciato tutto questo?
Le mafie hanno un rapporto con il loro territorio che spesso viene molto semplicisticamente descritto in termini di 'sopraffazione', ma non è così, o non è soltanto così. Le mafie hanno bisogno fisico del consenso diffuso, per un problema numerico concreto: non si può controllare un territorio vasto come quello gestito dalla mafia esclusivamente con la violenza, per quanto spietata. Per cui la lunga vita delle mafie si spiega con la logica del consenso, non con la logica della sopraffazione. Il calcio è uno strumento fondamentale per riuscire a creare e mantenere un consenso diffuso e solido. Essere dentro lo scenario calcistico del proprio territorio ti consente di arrivare a tutta una serie di mondi che fuori dallo stadio possono essere lontani: quello delle istituzioni, quello della politica. In questo senso, anche il calcio può diventare uno strumento fondamentale di promozione della mafiosità.


Raffaele Cantone è nato a Napoli nel 1963. Entrato in magistratura nel 1991, lavora come pubblico ministero presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli fino al 2007, occupandosi delle indagini sul clan camorristico dei Casalesi, delle loro infiltrazioni all'estero, e riuscendo ad ottenere l'ergastolo per i vertici più inarrivabili. Oggi lavora all’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione.
Dopo “Solo per giustizia” (2008), un romanzo autobiografico che, a partire dal suo ultimo giorno alla Direzione Distrettuale Antimafia, ripercorre la sua esperienza da giudice, ha scritto con il giornalista Gianluca Di Feo “I Gattopardi” (2010) nel quale racconta le reti e le connessioni del sistema mafioso italiano degli ultimi vent'anni. Nel 2012, sempre insieme a Di Feo, è uscito il libro “Football clan”: analisi senza veli del mondo del calcio, diventato uno dei modi più pesanti grazie ai quali la mafia riesce a tessere la sua tela e a fare affari.  

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