mercoledì 7 giugno 2006

Bompressi, il primo giorno di libertà barricato in casa e senza una parola, Il Messaggero, 2 giugno 2006

dal nostro inviato

UGO CUBEDDU

MASSA - Come si diventa uomini liberi? Con due fogli consegnati al Comando dei carabinieri alle due del pomeriggio in cui si dice che Ovidio Bompressi non dovrà più scontare gli anni che gli restano della pena di 22 anni che gli è stata inflitta? Oppure sapendo che adesso è un uomo libero e che quel capitolo è chiuso definitivamente? Allora si può davvero girare pagina dopo 18 anni e dire ”da oggi ricomincio”? No, forse no, forse le cose sono molto più complicate. Prive di interruttori che si possono accendere o spegnere con la pressione di un dito, sparigliando chissà cosa in una manciata di ore. Eccolo, Ovidio Bompressi. I genitori gli costruiscono una casa-villetta che sarebbe pure carina se ogni dieci minuti non passasse un treno a dieci metri di distanza, urlante e capace di annientare qualsiasi voce. «Ci si abitua a tutto», dice la moglie Gilda, «meglio qui che niente». Già, ci si abitua. Come ieri mattina, quando non sono bastati due fogli, pure importanti, a cambiare la vita di ogni giorno. Aspettandoli, quei due fogli, raccontando anche che ”adesso smetterò di piangere tutti i giorni”, ma mantenendo alla fine gli stessi ritmi, le stesse cadenze. Sistemando vasi di fiori alle sette e mezza del mattino per poi scappare in casa alla vista dei giornalisti. E uscendo in fretta col suo ”Fiorino” bianco per andare all’Anpi, dove segue l’archivio della storia della Resistenza e parla con i ragazzi delle scuole e con gli studenti che fanno la tesi proprio su quella storia.
Ma 18 anni tra processi e galera sono tanti, troppi. Così a Bompressi qualcosa si è spezzato dentro. «Mi ha detto tante volte che Sofri è un galantuomo, che lui si sentiva un suo allievo», racconta Gilda, la madre, «e anche che non avrebbe mai ucciso neppure una mosca, che non aveva mai fatto male a nessuno. Lo ripeteva, all’infinito. E allora si era rifugiato nelle storie, nei romanzi. Ne ha scritti quattro, avrebbe voglia di riprendere, di scrivere cose per Micromega, per i giornali...». Alle due del pomeriggio lo hanno chiamato al Comando dei carabinieri di Massa e gli hanno notificato la sua libertà, il suo essere tornato nella cosiddetta società civile. Dietro, e lontano per lui, il rombo delle polemiche politiche, la rabbia e l’astio di molti schieramenti, l’uso politico di quei due fogli con la grazia. Non li ha nemmeno sentiti, forse non se n’è neppure accorto. E’ tornato a casa, poi è scappato dagli amici che lo proteggono. I giornali e le televisioni si aspettavano sfoghi, gioie, pesi da togliere. Si aspettavano anche un seguito di quel discorso pubblico avanzato degli avvocati, che hanno parlato di grande soddisfazione, ma anche di rincrescimento perchè alla base della grazia non era arrivato il riconoscimento dell’innocenza. Chiarendo così quella trappola dalla quale Bompressi forse non uscirà mai: graziato, ma colpevole. Una ambiguità terribile, una ”non vita”. Per questo non ha voluto parlare con nessuno, incapace di semplificare la sua vita difficile con le regole dei media che vogliono tutto e subito, troppo abituati ai reality del Grande Fratello. Cercavano la felicità, la gioia di un uomo libero, hanno solo trovato qualcuno che scappava, che si è rifugiato da quegli amici che non gli chiedono conto di niente. «Non c’è nessuna festa, non c’è niente da festeggiare. Forse Ovidio parlerà, ma tra qualche giorno», ha ribadito ieri pomeriggio la moglie Giuliana mentre usciva di casa con la figlia Elisabetta». Già, appunto, la vita non cambia in un giorno, non si cancellano con un colpo di spugna 18 anni. Non è una questione di innocente o colpevole, le risposte le sa solo lui. Le darà. Forse. (Ha collaborato Agnese Fedeli)

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